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ANIMALISTI E AGRICOLTORI – Sostenibilità ambientale e legalità (articolo del Socio Giovanni Tancredi)

 

Quanti soni gli animalisti e a quanti gli agricoltori – contadini in Italia? Un esercito di nostri connazionali, cioè il 42% delle famiglie, possiede  uno o più animali di compagnia con cui condivide i propri spazi, più o meno idonei. Si valuta in circa sessanta milioni gli animali di compagnia: cani, gatti, pesci, uccelli, piccoli mammiferi, rettili e ecc. il 48%  (di quel 42%) possiede un cane, il 33% un gatto e il resto le numerose specie che offre il mercato legale e spesso illegale. La maggior parte degli animalisti amano e rispettano gli animali, ne conoscono le esigenze, li accudiscono e li curano ricevendone in cambio quell’affetto sempre più raro nei rapporti umani. Negli ultimi anni quest’esercito si è ulteriormente ingrossato con molti neofiti, che hanno scoperto l’animalismo sul web dove, confondendo il virtuale con il reale, conducono vere e proprie crociate in difesa  di tutti gli animali domestici e selvatici, sfiorando a vote il fanatismo. Riscoprono quel mondo onirico conosciuto nell’infanzia, per lo più attraverso i cartoni animati, dove gli animali vengono umanizzati a fini pedagogici. Un fenomeno sociale diffuso, di cui si occupano anche gli psicologi che suggeriscono spesso ai loro pazienti, la compagnia di una bestiola anti-stress in alternativa alla scrittura di un libro o alla frequentazione di una scuola di ballo. Col risultato che stiamo diventando un popolo di animalisti, scrittori e ballerini, lanciati alla conquista di un mondo virtuale.  In quello reale si danno da fare i popoli dei paesi emergenti. Ma del fenomeno animalista se ne occupano anche i governanti, che hanno autorizzato con leggi apposite l’acceso agli animali di compagnia in quasi tutti i luoghi pubblici. A differenza dell’Italia, molti paesi europei hanno vietato il possesso di cani ritenuti pericolosi. L’entusiasmo per la causa animalista gioca qualche volta brutti scherzi alle numerose associazioni. E’ successo con la gallina Rosita. Quella “sedotta” da Antonio Banderas nella pubblicità delle fette biscottate. L’andatura incerta del pennuto, non è sfuggita all’occhio clinico di un’associazione animalista, che ha fatto partire a razzo una “ denuncia per maltrattamento” della povera gallina. A radio 24 il presidente di quell’associazione si è scusato con l’azienda e con Rosita per un equivoco imbarazzante: Rosita in realtà non era una gallina vera, ma un robot azionato a distanza. Il sogno condiviso dalla maggior parte degli animalisti è quello di ripopolare la terra di animali domestici e selvatici (per quelli preistorici è ormai tardi). Su come trovare gli spazi e il cibo per tutti (molti animali sono carnivori) non se lo sono ancora chiesto. Confidano forse in un’altra parabola dei pani e dei pesci con cui il filantropo Gesù sfamò i suoi simili (ma solo quelli). In realtà si tratta di un problema enorme e riguarda la sostenibilità della vita sul pianeta. Posto che,  la specie animale più prolifica e dannosa, quella umana, ha colonizzato ogni angolo della terra. Già da qualche anno è scattato S.O.S. sulle risorse del pianeta ormai in riserva. Alla sua prolificazione più o meno incontrollata, l’uomo aggiunge attività criminali di sfruttamento e inquinamento con cui si avvia all’estinzione sua e, purtroppo, delle altre specie incolpevoli. Di queste problematiche i pugnaci animalisti non si curano molto, avendo dimenticato la massima socratica: “ l’ignoranza è all’origine di tutti i mali”. E loro ignorano che, senza la cura della terra, non c’è la possibilità di vita sostenibile per nessun essere.

Coltivare la terra in modo consapevole, significa sopratutto curare le sue diversità, ovvero il suo equilibrio. Per stare all’Italia, guardiamo qualche dato. Fino agli anni cinquanta circa la metà degli Italiani coltivavano e traevano sostentamento dalla Terra. Poi è iniziata l’era industriale e il boom economico con milioni di braccianti che sono emigrati nel nord Italia ed Europa. Oggi la Coldiretti informa che gli addetti al settore si sono ridotti a circa 891 mila di cui 462 mila proprietari e il restante contadini salariati e stagionali (spesso in nero anche per l’insostenibilità dei costi rispetto ai ricavi). I  nostri agricoltori – contadini sono i più vecchi d’ Europa, solo il 5% di loro è sotto i 35 anni. La frammentazione delle proprietà e l’incapacità a  fare sistema (con qualche eccezione come il Trentino) spiega il perché l’ export agro- alimentare è passato dai 35 miliardi di 10 anni fa ai 25 di oggi. Contro i 42 di Spagna, i 54 di Francia e i 170 della Germania. Ai coltivatori più che la vendita al chilometro zero, va garantita la bonifica dall’inquinamento mafioso. Sempre la Coldiretti denuncia come il fatturato illegale agroalimentare tocchi la cifra spaventosa di 15 miliardi di euro l’anno. I capitali criminali non sono la salvezza dell’economia Italiana in grave recessione, ma  la zavorra per affondarla definitivamente. Di questo i politici non se ne occupano molto, lasciando che lo facciano le forze dell’ordine a cui continuano a tagliare risorse. Il problema della legalità si è attenuato molto nei dibattiti politici. Si riaccende di tanto in tanto, a seguito di operazioni eclatanti di contrasto alla criminalità operato dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Ad informare l’opinione pubblica rimane qualche giornalista, qualche scrittore,  o qualche sacerdote come Don Ciotti. Lo fanno rischiando la vita e vivendo sotto scorta. Torniamo  all’agricoltura e ai problemi che l’ affliggono. Gli agricoltori onesti oltre alle brutte stagioni come quella del 2014, devono vedersela anche con le numerose truffe perpetrate sulle sovvenzioni agricole. Nelle intenzioni dei legislatori dovrebbero sostenere i settori agricoli in difficoltà, ma molte volte vengono dirottate a non aventi diritto con la complicità di una burocrazia corrotta. Cosi diventa inevitabile l’abbandono  da parte dei contadini delle terre più scomode,  come i terrazzamenti. Lo si è visto nelle alluvioni con  frane in Liguria.   La mancata manutenzione di boschi e corsi d’acqua (con l’illusione che l’introduzione di specie selvatiche avrebbe riequilibrato la natura) crea le condizioni di disastri ambientali,  che verrebbero evitati con l’opera di prevenzione dell’uomo. Il lavoro agricolo, nonostante i moderni mezzi ( spesso costosi) rimane tra i più duri, meno rimunerativi e di scarsa considerazione sociale. Gli Italiani hanno perso memoria delle comuni origini agricole e del rispetto della natura che la civiltà contadina ci aveva tramandato. La bandiera dell’agricoltura Italiana è come la Napoli di Pino Daniele: “Na carta sporca e nisciuno se ne importa”. Una bandiera raccolta qualche decennio fa da un “rivoluzionario” deluso dalla politica e alla ricerca di una causa  non ancora persa del tutto. Carlo Petrini non risulta essere nato condadino, ma da piemontese concreto guardava con interesse quel mondo a cui lo legava la sua grande passione per il buon cibo e il vino, che in Piemonte assurge a “civiltà del bere”. Inevitabile per Petrini occuparsi della natura e dar vita a due progetti  che sembrano utopie: Terra Madre e Slow Food sono due iniziative con cui ha risvegliato prima in Italia e oggi nel mondo, l’amore per la terra e il buon cibo. Una filosofia di vita per avvicinare i popoli accomunandoli nella difesa del bio diversità e delle sementi rare che le multinazionali tendono a procacciarsi per sterilizzarle monopolizzandone il commercio ( si pensi alle OGM le cui sementi e relativi pesticidi sono in monopolio). Una battaglia cruciale da cui dipende la qualità della vita umana e animale. Petrini è un divulgatore di quell’educazione alimentare che andrebbe introdotta come insegnamento nelle scuole. Insieme alla botanica e all’educazione civica. A dargli manforte in questa missione di conoscenza e divulgazione del buon cibo c’è un altro visionario: Oscar Farinetti il padre di “EATALJ” . Ma lo sforzo di questi due profeti della terra e del buon cibo, non sarà sufficiente a salvare il mondo. Un consumo virtuoso del cibo sarà possibile solo avvicinando i giovani alla terra. Le nuove generazione andrebbero stimolate, accompagnate e, se occorresse, “trascinate” al lavoro dei campi con un stage integrato in un servizio civile obbligatorio. Dal momento che è stato abolito quello militare. Cosi capirebbero la fatica che sta a monte di quel cibo, che spesso sprecano, perché lo trovano bello pronto in tavola. E adesso pure selezionato nei punti vendita di quell’inguaribile ottimista baffetto di nome Oscar.

 

Nota: l’autore di questo articolo è un ex poliziotto, ex bancario ed ex giornalista pubblicista. In pensione, è tornato alle origini, riscoprendo l’amore per la terra a cui i genitori contadini l’avevano avviato con spartana educazione. Oggi coltiva legumi viti e olivi tra la Lombardia e la Puglia

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