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Artemisia Gentileschi (articolo di Giovanni Tancredi)

La passione è quella di Artemisia per la pittura,la cronaca quella di un appuntamento culturale pro mosso dall’associazione del personale in quiescenza della Banca Popolare Commercio e Industria, quale omaggio alle donne per la festa dell’8 marzo 2012. E il 26 gennaio e un sole primaverile splende su Palazzo Reale, sede della mostra. I gruppi costituiti da circa cinquanta partecipanti, per lo più donne, hanno attraversato il percorso biografico – artistico di una donna che al talento univa una personalità semplicemente straordinaria. Artemisia nasce a Roma il 1563 da Orazio Lomi a Prudenzia Montoni. La sua figura d’artista irrompe nella storia che nei Seicento è ancora appannaggio degli uomini, il suo innato talento si impone con ispirazione caravaggesca, ma brillando di luce propria. Quella luce che infonde nei suoi soggetti allo stesso modo o quasi del grande Caravaggio; suo contemporaneo, Artemisia non ha modo di incontrarlo, ma di studiarne la tecnica si.
E’ nella bottega del padre Oreste, pittore di buon livello che la piccola Artemisia esercita il suo precoce talento. L’innata creatività che la possiede va affinata

Artemisia Gentileschi, Allegoria della fama (1630/1635)

Artemisia Gentileschi, Allegoria della fama (1630/1635)

 

 

 

Artemisia Gentileschi Autoritratto come la Pittura (1638-1639)

e per questo il padre l’affida all’amico Agostino Tassi, pittore completo più di lui. Il Tassi insegna ad Artemisia i segreti della pittura e, giacché non è uno stinco di santo, la violenta facendo affidamento sul silenzio della ragazza in un secolo in cui l’oscurantismo dell’inquisizione regola la vita degli individui relegando le donne in secondo piano. Non ha fatto i conti col temperamento di Artemisia che, sovvertendo le convenzioni del tempo, osa denunciarlo scrivendo una pagina memorabile nella storia dell’ emancipazione femminile: anzi , molte pagine, visto che il processo che ne segue viene ampiamente documentato e giunge fino ai nostri giorni con carteggio preciso, incalzante, schiacciante che inchioda e fa condannare il Tassi.
Artemisia ha diciotto anni e ha sfidato il maschilismo, come Galileo Galilei sta sfidando nello stesso periodo le teoria Aristotelica. Due “rivoluzionari” che appena si incontrano si intendono alla perfezione. In una sua tela, Artemisia affida agli sguardi dei personaggi l’allegoria eliocentrica copernicana che la sua mente acuta ha compreso.
Non così la Chiesa che costringe il grande scienziato a ritrattare riabilitandolo  dopo secoli. Non  tutte le tele esposte sono capolavori; alcune è probabile siano state eseguite dai suoi allievi che teneva a bottega e che lei le abbia solo “rifinite”. Ma su quelle celeberrime come “Giuditta  e Ofofene” o “Susanna e i Vecchioni” si concentra in modo impetuoso il fuoco artistico che divora la pittrice e che dà vita alle figure trasmettendo lo svolgimento. Il visitatore rimane a seconda dei casi rapito, affascinato, ammaliato, atterrito. Insomma Artemisia, anche a distanza di cinque secoli, trasmette emozioni come solo i grandi della storia dell’arte sanno dare. I limiti della profondità di campo o dell’imperfezione dei  nudi risentono di tecnica ancora sconosciuta o della occhiuta censura del tempo. Per quanto Artemisia sa tessere amicizie preziose e potenti anche in Vaticano. E’ qui sta la straordinarietà di donna moderna. Perché Artemisia ha imparato a leggere e scrivere e questo, insieme alla sua intraprendenza, le apre molte porte. E’ irrequieta  per temperamento e, pur accettando un matrimonio combinato con lo spiantato fiorentino Pierantonio Siattese, ne sfrutta le amicizie che la portano alla corte del Granduca di Toscana dove Cosimo  II dei Medici le commissiona una serie di dipinti. Li conosce il nobile Francesco Maria Maringhi, il grande amore della sua vita che la leverà spesso dai guai. Perché Artemisia ha le mani bucate ed inseguita dai creditori che costringono lei e la famiglia a scappare a Prato e poi ancora a Roma.
Tra il 1627/1630  la troviamo a Venezia, dopo aver seminato il marito, ma dove c’è la peste per cui scappa a Napoli alla corte del viceré D’Alcalà che le commissiona una serie di opere. Non paga, continua a tessere relazioni con una capacità di auto; promozione da moderno marketing.
Quando il padre Orazio, che si trova a Londra al servizio di Carlo I, la invita a raggiungerlo, lei non ci pensa due volte e lì si trova il 1638/40 a collaborare, forse, con lui nel dipingere il soffitto del Queen’s House Greenwich. Pero vuol tornare in Italia, possibilmente alla corte di Francesco D’Este, che nicchia. Torna invece a Napoli più attiva che mai e apre una bottega d’arte. I committenti non mancano. Don Fabrizio Ruffo che le chiede per lo zio Antonio “Galatea” e”Diana al Bagno”.
I Ruffo sono Nobili importanti e Artemisia dipingerà per loro tele famose. Probabilmente  “Susanna e i Vecchioni” nel 1652.
E’ a Napoli, quando nel gennaio del 1654 la stella di questa donna straordinaria si spegne entrando nel firmamento dei grandi protagonisti della pittura e segnando una pietra miliare nella storia dell’emancipazione femminile.
La visita ha costituito per noi tutti un momento di partecipazione ed uno stimolo ulteriore per favorire  spirito di aggregazione e condivisione su iniziative culturali.

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